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"LA MADRE" - Laura Nalin

 



“[..]Dovrai insegnarle che la Dea è in lei e che l’Amore vero, quello delle favole esiste e che non dovrà mai perdere la speranza di trovarlo…e che è un amore che non isola, ma che, una volta prese le misure, diventerà ONNIPERVASIVO ed assorbirà tutto, che tu non la abbandonerai mai, ma che l’Amore vero è una opportunità unica, va colta, perché è questo il senso vero della vita […]”

Paolo, 21/06/16.

 

 

Sette e mezza, il tuo primo vagito! I tuoi occhi si aprono al mondo, sono enormi, spalancati, lo sguardo intenso e serio mi interroga e non so darti risposte adesso che sei fuori dal mio corpo.

Non posso crederci, sei fuori da me! La mia mente lo sapeva da tempo, ma è come se i nostri due corpi lo ignorassero e adesso se ne stanno lì sospesi, attoniti, per qualche momento inerti. Ed anche se ti sorrido e ti accarezzo c’è una parte di me che protesta: “No! Perché sei uscita figlia mia?!”. M’immagino che stai sentendo la stessa cosa, anzi, per te è molto più sconvolgente perché tu sei entrata in una dimensione che non conosci. Vorrei farti capire che anch’io sono confusa, perché sono nata anch’io oggi, come madre! Ma nulla mi autorizza ad avere dubbi: nessuno sopporta dalla bocca di una madre frasi che non siano di gioia e di ringraziamento. Io penso proprio questo, tesoro mio, che ti avrei voluto al sicuro dentro il mio ventre per molto più tempo e che non ti riconosco adesso che sei qui appoggiata sul mio petto. Sento un enorme desiderio di proteggerti, sei talmente indifesa. Mi dà fastidio che i medici e gli infermieri ti tengano in braccio, non sopporto che ti portino via dal mio sguardo, vorrei sentirti sempre lì attaccata a me, come prima. Tutti dicono che il giorno più bello della loro vita è stato quello della nascita dei loro figli e forse avrei dovuto sentire la stessa cosa anch’io, che ho fatto di tutto e di più per averti, che ti voglio un bene dell’anima, ma no, ti mentirei. Io mi sono innamorata di te giorno dopo giorno, quand’ho visto che non eri troppo dispiaciuta di quello che ti avevo fatto mettendoti al mondo, quando ho visto che ce l’avrei fatta e che i gesti materni, istintivi, insorgevano in me come in tutte le femmine di questo mondo.

Anche tu ti sei innamorata dopo, ne sono certa: ci siamo studiate e conosciute, due persone diverse, unite da un legame di cellule e di sangue. Quando eri piccola ti narravo la “tua storia” di prima della nascita, ti piaceva:

- “Per dieci anni io e tuo padre uscivamo ogni tanto di casa” - ti raccontavo - “guardavamo il cielo e ti chiamavamo: “Bimba, bimba, dove sei?!”. Ma noi eravamo in Brasile e tu ci cercavi dove dovevamo essere, in Francia, o in Italia. Allora prendesti la tua nuvoletta da viaggio, quella bianca bianca, che quando hai fame ne stacchi un pezzo e te lo mangi, che è molto nutriente! Ogni tanto passavi sopra il Brasile, ma magari noi proprio quel giorno non ti chiamavamo. Un giorno sulla tua nuvoletta apparve Willy, che doveva nascere anche lui, eri contenta di avere compagnia e ti preoccupasti meno di trovarci. E ridendo e scherzando, e giocando e chiamando, passarono dieci anni. Un giorno le stelle e la luna mi parlarono e mi dissero che, se ti volevo, avrei dovuto seguire la loro luce fino ad una città a mille chilometri da casa. Così feci, e ti invocai e dalla nuvoletta scendeste in due tu e Willy. Ma lui si era sbagliato e quando eri nella mia pancia, entrasti nel mio sogno e me lo raccontasti. Avevi sedici anni, nel sogno, ti chiamavi Emilie e mi conducesti per mano a vedere una donna che stava partorendo, mi dicesti: “Non ti preoccupare mamma, Willy nascerà da lei”. Quando sei scesa dalla tua nuvoletta nel mio ventre eravamo contentissime sia io che te, tu nuotavi nel tuo Eden segreto ed io nelle acque fresche del fiume Formoso[1]. Tu dormivi ed io facevo Yoga cullandoti dolcemente e respirando con te”.

Alla fine del racconto, tu mi guardavi senza ridere, assorta in silenzio, come sempre.

Ti piaceva l’acqua, sguazzavi come una ranocchia nella tua vaschetta, quando la testa andava sotto, ti tiravi su con quegli occhi enormi spalancati, mi facevi ridere. Non piangevi, eri solo un po’ stupita. Prima del rito dell’acqua c’era quello del massaggio: come Shantala[2], mi sedevo per terra e ti stendevo sopra le mie gambe e, con l’olio d’oliva, ti facevo sentire la stretta delle mie mani su tutto il corpo…. Avevi ragione Frédéric Boyer[3] quando dicevi che l’angoscia del neonato non è causata tanto dalla fame quanto dal vuoto intorno a sé in contrapposizione a prima della nascita e all’abbraccio permanente del ventre materno. Io, volli risparmiarti l’angoscia, figlia mia e volli che crescessi indipendente … ma in fondo non era neanche una volontà, ero semplicemente così, una madre alla ricerca della felicità e della libertà. Si può donare solo quello che si è, non ci sono dubbi. Quando mi sono ammalata[4] ho capito che non avremmo avuto scelta: avremmo dovuto vivere la nostra “indipendenza” e questa volta per forza: tutto è diverso quando si parte da questa prospettiva!

Durante le mie lunghe permanenze all’ospedale mi sei mancata da impazzire, eri la mia disperazione e la mia ragione di vivere. Il dolore del distacco sembrava insopportabile. Poi, si è trasformato… in Brasile c’è un detto: “Deus nos manda apenas aquilo que podemos aguentar[5], dev’essere così, perché ce l’abbiamo fatta, amor mio. In ospedale ho capito che tu, a tre anni, potevi avere un’esistenza completa e felice anche lontana da me, tua madre: per assimilarlo mi ci è voluta una buona dose di compassione per me stessa e la fortuna di avere intorno delle persone che mi volevano bene. Ma ciò che è ancora più importante è l’aver capito con chiarezza che il nostro legame era indistruttibile, quel che bisognava annullare era l’attaccamento.

 

Diamo molteplici significati alla parola madre, innanzi tutto, però, madre vuol dire “matrice”, colei che, da un agglomerato di cellule, genera nel suo utero un essere umano. La forza che la fa generare è l’Amore e il movente è il Desiderio, sempre, anche quando la donna per una ragione, o per un’altra non vuole un figlio: l’Amore e il Desiderio non dipendono dalla nostra volontà, sono una corrente creativa che agisce al di là delle ragioni, o dei deliri individuali. Non esiste una madre uguale all’altra, non credere a quelli che ti srotolano dei papiri pieni di false verità su come bisogna essere madri, la prima di tutte le verità è che siamo tutte diverse e che tutto è in costante movimento. Non ci resta che essere più che mai noi stesse, amare la vita e vivere nell’Amore, è il cammino, e la felicità è la misura per sapere se siamo sul buon cammino.

Ognuno percorre il suo, cammino, la madre può solo insegnare a camminare, ma se potessi trasmetterti qualcosa, sarebbe di non smettere mai di cercare la vera felicità e che colui con il quale potrai esprimere tutto l’amore che hai dentro, esiste. Se c’è una cosa che posso assicurarti è che esiste, lo riconoscerai subito quando ti succederà. Sarà così tanto amore da aver l’impressione di non poterlo contenere tutto, conoscerai lo stato di armonia perfetta e i dubbi saranno spazzati via come nuvole al vento, ciò che è indistinto riceverà contorni netti, e le parole come fedeltà, sicurezza, tranquillità, conquisteranno finalmente il loro vero significato. Avrai la sensazione di vivere in un paradiso tutto vostro, ma anche aperto agli altri: ogni gesto ti darà gioia, ogni abbraccio nuova energia, il quotidiano ti sembrerà il percorso di un gioco creato da voi e le sfide ti daranno ancora più carica. E’ possibile che questa sia la maniera per giocare a cercare l’essenza della vita, non lo so, so solo che due che si amano davvero diventano dei bravissimi giocatori, raramente si avviliscono per le difficoltà e sono sempre pronti a gettare i dadi per vedere dove li porta il gioco.

Abbiamo a nostra portata una riserva di energia inesauribile, alcuni la chiamano Kuṇḍalinī, altri Śakti, altri ancora dicono la Dea, ma è lo stesso, i nomi non contano.

In te, l’ho riconosciuta subito anche se la nascondi ancora. Come quella volta che ti avevo proibito di guardare la TV perché dovevi studiare e tu, ti sei girata e mi hai ruggito mostrandomi i denti come una piccola tigre, non mi dimenticherò mai quel tuo sguardo: i tuoi enormi occhi di miele si sono trasformati in una giungla verde. Ti ho sorriso con rispetto, ho riconosciuto la Dea. Cerca Lei per essere te stessa, sempre.

 


[1] Nel 2003 vivevo a Bonito, nel Mato Grosso do Sul, in Brasile. Il posto è considerato come un vero “Paradiso ecologico” in Brasile, dove le acque dei fiumi possiedono una particolare trasparenza. Il Formoso è uno di questi corsi d’acqua particolarmente privilegiati.

[2] “Shantala. L'arte del massaggio indiano per far crescere i bambini felici”, è un libro di Frédérick Leboyer, che nasce dall'osservazione delle donne indiane che massaggiano i loro neonati. Per aiutare i piccoli ad attraversare il deserto dei primi mesi di vita senza provare l'angoscia di sentirsi isolati, perduti, bisogna "parlare" al loro corpo, alla loro pelle, che hanno sete e fame quanto il loro ventre. I piccoli, infatti, hanno bisogno del latte, ma più ancora di essere accarezzati, sostenuti, massaggiati, amati anche con l'odore, il calore, la voce. Il massaggio è linguaggio per esprimere l'amore che ogni madre prova verso suo figlio.

 

[3] Frédérick Leboyer, ostetrico francese che, per primo ha tenuto conto delle sofferenze del neonato nel momento del parto. Prima di lui si considerava che i neonati non avessero sensibilità al dolore. Ha scritto vari libri tra i quali “Shantala”, un documento-poetico sui massaggi dei neonati delle madri Indiane

[4] Nel 2006 mi sono ammalata di leucemia.

[5] Dio ci manda solo ciò che possiamo sopportare


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