William Budler Yeats
Cammino in una foresta che non conosco. I miei
sensi sono così accesi che mi sembra di essere ovunque nello stesso tempo. Con
gli occhi chiusi mi lascio guidare dalla sensibilità delle piante dei miei
piedi, potrei correre sul sentiero senza farmi male, ma non corro, non ne ho
bisogno, so benissimo dove sto andando. Mi aspettano.
Sono donna.
L’evidenza di esserlo si impone quasi con
arroganza. Conosco questa potenza, insorge senza preavviso come un fiume in
piena, invade le vene, si allarga e si trasforma in alluvione penetrando tutto
il corpo. I movimenti diventano vellutati, il mio corpo è immenso, ma si muove
con grande leggerezza, come quello di una tigre… pelo morbido striato, con la
coda dell’occhio osservo le lunghe vibrisse.
Un bruco sta mangiando una foglia, lo sento. Il mio sguardo abbraccia la foresta, tutta.
Cammino. Mi aspettano.
Il passo è più spedito, adesso. Larghi, di
seta azzurra, i miei pantaloni sfiorano le felci e carezzano la pelle. Lontano
un gruppo di case: voci di bambini che giocano tranquilli, qualcuno sta
tagliando la legna, musica bassa …
C’è una casa isolata, a due piani, di pietra e
legno. Ci sono piante intorno, tante. Tra queste l’albero madre: il tronco
sinuoso, liscio, si apre in rami forti come le braccia di una contadina, la
chioma è una nube di foglioline delicate, teneramente verdi.
Sulla spirale di pietre, erbe aromatiche e
medicinali crescono spontaneamente, seguendo l’armonioso disegno della Dea.
Profumo di spezie e di muschio.
Lo sguardo è quello vivace e dolce di una
ragazzina, ma se avesse più di cento anni, non mi stupirebbe.
Mi tende le mani sorridendo, me ne stringe
forte una per portarmi dentro casa. Odore di legno, antico, e cera d’api,
sudore e olii essenziali. Donne indaffarate attorno al tavolo, fiori colorati
nuotano in una bacinella. C’è Fabiana tra di loro, non mi stupisce. Sì, sono la
sua maestra, ma oggi è lei che deve prepararmi all’iniziazione.
Mi invitò a casa sua, una volta, Fabiana. Vive
vicino alla foresta con la sua bimba dal nome di dea, Maya. Mi chiese di
insegnarle un mantra. Qualcosa o qualcuno mi sussurrò Tārā.
Lo sentii nell’orecchio. O al centro della
testa, non ricordo bene:
OṂ TĀRE TUTTĀRE TURE SVĀHĀ… OṂ TĀRE TUTTĀRE TURE SVĀHĀ … OṂ TĀRE TUTTĀRE TURE SVĀHĀ…
Alla fine i suoi occhi neri brillavano di
gioia. Maya ci guardava, in silenzio. Bevemmo un infuso di melissa fresca.
Sono seduta sul tavolo, nuda. Mi sembra tutto
naturale, e spontaneo. Un rituale, quando è autentico, non è mai artificioso…
Sono tutte intorno a me. Mi massaggiano. Con gesti decisi, circolari, Fabiana
si occupa del seno. La vecchia dagli occhi bambini mi porge una ciotola piena
di una roba verdastra. La guardo.
Sono avvezza al prima e al dopo, come la
lucertola che perde la coda e sa già che gli ricrescerà. Quale potere mi sarà
accordato? A quale conoscenza avrò
accesso? La guardo. Nel silenzio i miei occhi le dicono che non mi serve
nessuna pozione. La trasformazione è già in atto. Credo per un attimo di averla
offesa, ma è felice invece, sorride.
Anch’io sorrido. Cammino verso la parete, poi
“sulla” parete. Sono veloce, leggera come la lucertola. Le mani e i piedi
aderiscono al muro di pietra e legno. Mi
sembra tutto…normale. Sono felice. Mi faccio penetrare dalla gioia. Dal
soffitto, mi sembra di aver cantato, un suono sibilante. Le mie compagne mi
guardano e ridono.
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